
Un libro fuori misura, un piccolo saggio di buona e originale scrittura: uno di quei racconti “intimi” che hanno il dono di appassionare il lettore dal primo all’ultimo rigo.
di CasaLibri
“Color aviazione”, o se preferite blu nostalgia: sono quelle del ricordo le tinte più forti del lavoro d’esordio di Nicoletta Bianconi – Qualcosa di giallo. Vita di un rappresentante di moquette (Sempremai). Messa da parte la suggestione cromatica del titolo, il libro racconta la storia di una donna – omonima e alter ego dell’autrice – alle prese con la scrittura di un romanzo poliziesco e, soprattutto, con un Tempo al quale sente di non appartenere.
“…e adesso qui, in questo mondo di oggi, mi sento come se fossi un rappresentante di moquette, che la moquette oggi non la vuole più nessuno. E anch’io, delle volte, come la moquette, mi sento fuori dal tempo. Mi sembra di fare la fatica che farebbe oggi quel rappresentate lì”.
Sullo sfondo di una Bologna che cambia e un po’ si dissolve – al posto della libreria Minerva c’è un supermercato Carrefour, l’insegna non l’han tolta, l’han lasciata, sai che consolazione….– la protagonista si muove tra presente e passato, riavvolgendo lentamente il filo della sua identità. Spinta dal bisogno di “metter giù bene” il giallo che ha in testa, Nicoletta si rivolge alla “lingua” della propria infanzia – quella che la maestra segnava con la matita rossa – per riuscire a “riportare al grezzo” ciò che ha da dire. Sotto “strati e strati” di “qualcosa” che la scuola e la vita le hanno “appiccicato” addosso c’è ancora una personalità che preme per tornare a esprimersi in tutta la sua autenticità. E se la verità – per Bianconi – sta nella memoria, sarà solo risalendo la corrente del proprio lessico famigliare che Nicoletta riuscirà a raschiare via i sedimenti di quella cultura omologante e, finalmente, a ritrovare se stessa.
“Adesso, a ripensarci, il mio malessere credo che fosse dovuto al fatto di essermi sbandata, anche se solo dentro di me, nel senso proprio di essermi dispersa, allontanata, come un partigiano alla fine della guerra, dalla mia banda, fatta dai miei genitori, dalla nonna Adriana, dalla zia Antonia, da mio fratello. Falsare quello che ero, cancellare da dove ero venuta, parlare in una lingua che non era la mia, desiderare di andare a vivere in un posto dove non avevo ricordi, questo, penso, che sia stata una cosa che dopo io, per tornare al mondo, ho cercato di fare il contrario. Di risalire quella corrente lì”.
“E mi ricordo che alle elementari avevo scritto in un tema dove dovevo descrivere qualcuno, e io volevo descrivere Stefano, il mio cugino grande, <<occhi color aviazione>> e la maestra me l’aveva segnato, me l’aveva cancellato, e di fianco ci aveva messo un punto interrogativo e aveva scritto <<occhi azzurri>>”.
Qualcosa di giallo: una cosa unica, armoniosa
La prima prova d’autrice della bolognese Bianconi, lo abbiamo già accennato, non ha nulla a che vedere con i colori (giallo-rosa) evocati dalla quarta di copertina. Anzi, a dirla tutta, il libro non ha neppure la struttura di un romanzo vero e proprio, almeno non in senso stretto. Tenuto assieme dalla metanarrazione del poliziesco che Nicoletta prova a scrivere da anni e dal continuo dialogo con il passato, il testo è suddiviso in brevi capitoli praticamente autonomi. L’effetto finale, per il lettore, è quello di una piccola raccolta di racconti “imbastiti” con grande delicatezza e genuinità.
“Però poi niente, io scrivevo, scrivevo, ma non funzionava, mancava sempre qualcosa. Pensavo sempre al rappresentate di moquette e a quel giallo che cercavo da anni di imbastire. Imbastire è una parola che mi piace molto, perché mi fa venire in mente l’imbastire, che mia nonna chiamava così un cotone grezzo, color bianco sporco, che usava per tener fermi temporaneamente due parti di un vestito, intanto che venivano cuciti definitivamente. E il mio modo di scrivere è un po’ così, ci sono dei pezzi tenuti insieme temporaneamente in attesa di essere cuciti definitivamente…”
Al di là delle solite – superflue – classificazioni, “Qualcosa di giallo” è più di ogni altra cosa un piccolo saggio di buona e originale scrittura: uno di quei libri “intimi” ma non privati che hanno il dono di appassionare il lettore dal primo all’ultimo rigo. Alla sua autrice va riconosciuto pienamente il merito di aver tirato fuori dal cilindro, “alla fine, come per incanto, una cosa armoniosa, bella, unica come un vestito fatto a mano”.
Qualcosa di giallo: una pagina
Per certi versi, il libro è fuori misura: dalle sue 125 pagine vengono fuori paesaggi, personaggi, ricordi, riflessioni ed esperienze di una porzione di vita considerevole della protagonista. Malgrado ciò, nulla – dal punto di vista narrativo – rimane irrisolto e tutto fila liscio verso la propria conclusione. D’altronde, inutile rammentarlo, saper mettere nero su bianco un racconto è una questione di qualità, e Bianconi taglia, cuce e confeziona a meraviglia il materiale che ha a disposizione. L’unica cosa che non è dato conoscere al lettore è il destino del poliziesco che Nicoletta non riesce a portare a termine. Di quella storia ci piace pensare che esista davvero – magari in un cassetto – perché tra tutti i capitoli scritti da Bianconi c’è n’è uno, quella in cui la vittima viene uccisa, che da solo vale un intero romanzo, questo sì, giallo.