Persino i filosofi più ottusi ammettono che il rinchiudersi da soli all’interno del campo è divenuto ormai il più bel gesto di libertà che sia possibile compiere da parte di una donna o di uomo umani su questo pianeta. Il campo di lavoro diventa l’unico luogo al mondo in cui il destino non delude nessuno, a tal punto esso è conforme a ciò che si è in diritto di aspettarsi. (Matthias Boyol)Continue reading →
“Cosa resta da aggiungere rispetto ai fucili? Non sarà pigrizia mentale, incolparli di tanti problemi? In fondo non c’entravano niente con i trasferimenti forzati. Non possiamo dimostrare che abbiano provocato la carestia o decimato la selvaggina. Reepah non doveva spararsi; avrebbe potuto suicidarsi in un altro modo. La prima volta che dici ti amo in un’altra lingua hai la stessa sensazione potente di quando lo hai detto per la prima volta nella tua, allo stesso modo l’ipotesi dei fucili suona convincente, ma ci sono sempre nuove lingue da imparare…”
“Dopo trentadue anni di miserabile calma piatta feci un sogno dove alcune persone mi assicuravano di aver incontrato recentemente Sophie Gironde. Mi aveva fatto soffrire molto durante i tre decenni appena trascorsi e, se volevo conservare qualche possibilità di non perderla di vista, occorreva che m’insediassi, a qualsiasi costo, all’interno di quel sogno e che lì l’attendessi”.
“Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza alle fatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo bastimento, di giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo forse non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui”.
“E quando il mare fu immobile, il re tacque. Immaginava lo attendessero nuove avventure. E a un signore certo si confà d’affrontare le avversità con sdegno e senza sorriso, come se non avesse importanza combattere, essere destati o uccisi. O peggio ancora”.
Romanzo di formazione, noir, racconto post-adolescenziale o di fantascienza: trovare un genere letterario nel quale incasellare un libro come “Medusa” è una impresa pressoché impossibile. Il lavoro d’esordio del venticinquenne Luca Bernardi, edito da Tunué nella collana curata da Vanni Santoni, è infatti materia talmente viva da non adattarsi per nulla alle solite, asfissianti classificazioni di genere. “Medusa”, per usare le parole dello stesso autore, è soprattutto la storia di “una mente in stato di liquefazione“. Un ventenne ossessionato dagli extraterrestri e dall’idea di compilare un “Dizionario semiologico abissale” trascorre le vacanze estive con i genitori, sulla costa tirrenica. Gioca a ping-pong, fantastica sulle ragazze, “commercia” con gli alieni e tenta faticosamente di tenere a bada la sua psicosi. Durante una festa in casa dei ricchi zii, perso ormai il controllo, decide di partire verso la riviera romagnola in compagnia di tre amici d’infanzia cinici e irrequieti. Una fuga, o per meglio dire “un autoinseguimento” che finirà inesorabilmente per mettere il giovane protagonista a confronto con i suoi peggiori fantasmi.
“Ti insegniamo noi! Noi chi? Le amichette culi dislessici? I compagnucci analfabeti? Annaspo all’idea di quali orrori possano sprigionarsi da tre lettere. Di ogni parola sempre ho sospettato, diceva il mio mentore Scardanelli, ma su tutte quelle che risucchiano i più nell’uno. Noi amici, noi nemici, noi buoni, noi cattivi, noi neri, noi bianchi, noi maschi, noi femmine, noi scemi, noi svegli, noi padri, noi figli? Noi scarafaggi?”