Il racconto della mia vita, per come lo vorrei cominciare oggi, è il racconto della vita di un anonimo. Appunto per questo va scritto, perché se non lo scrivo io, l’unica persona per la quale essa significa qualcosa, non lo scriverà nessuno. Continue reading →
Andiamo avanti eccitati, divertiti, riconoscendo i segni lasciati intorno a noi da chi ci ha preceduti, accettando insieme la buona e la cattiva sorte – le rose e le spine, come si suol dire – il pittoresco destino che riguarda tutti gli uomini e che riserva così tante possibilità ai più meritevoli o forse ai più fortunati. Sì. Andiamo avanti. E anche il tempo va avanti – fino a quando distinguiamo di fronte a noi una linea d’ombra che ci avvisa che bisogna lasciarci alle spalle anche la regione della prima giovinezza.
Una sera preparai del mole rosso e io e Arturo mangiammo con le finestre aperte perché faceva molto caldo, era sicuramente piena estate, e di colpo, dalla strada, arrivò un boato enorme, come se tutta la città fosse uscita a protestare per qualcosa, ma in realtà non protestavano per nulla, festeggiavano semplicemente una vittoria della squadra di calcio. Io avevo apparecchiato e mi ero impegnata col mole, ma il rumore della strada era così grande che non riuscivamo nemmeno a sentire quel che dicevamo, per cui fummo costretti a chiudere la finestra. Faceva caldo e il pollo con il mole rosso era venuto molto piccante. Arturo sudava, io sudavo, di colpo tutto andò di nuovo in pezzi e mi misi a piangere.
“A mano a mano che girovagava, Maitland scoprì che il suo corpo e il dolore nella gamba gli importavano sempre meno. Incominciò a muovere quel guscio, dimenticando dapprima l’arto offeso e poi tutte e due le gambe, cancellando qualsiasi coscienza dei bruciori al petto e al diaframma. Continue reading →
“Ma ciò che mi ha più impressionato è l’aver appreso che, dall’interno della stiva, e ancor più della sentina, non solo si percepisce ravvicinato e vivissimo il rumore del corpo e dei cavi che sfregano contro la carena, ma si possono anche sentire le grida subacquee del suppliziato. Sì, perché quel viaggio nel buio e nel gelo io me lo sono sempre immaginato muto, come una vicenda di rassegnazione, o come l’ingresso timoroso e un po’ stupefatto in un solenne mistero: il mistero del mare che non si vede, del mare nascosto dalla mole nera della nave. Invece ora vengo a sapere di una lotta, di una disperata resistenza al mistero, cioè di un attaccamento del condannato alla propria terrigna, legnosa, carnale umanità: e il cambiamento auspicato, allora? Quell’evoluzione profonda, intima (oserei dire quell’alterazione chimica) di uno spirito proteso alla conoscenza del proprio spavento? Un urlo solo, è evidente, la nega”.